Filosofia del formaggio
Adagiare formaggi sui piatti è operazione delicata, che abbisogna di gentilezza, di tatto, di mente libera.
Pensiamo alla tradizione di produzione millenaria, ai diversissimi sapori, agli odori e agli stati d’animo personali e differenti l’uno dall’altro che pochi altri alimenti al loro pari riescono a scaturire.
Coccoliamo un caprino su un piatto nero e sorridiamo pensando a Richard Condon, che l’ha definito “forma di latte per l’adulto”, grattugiamo scaglie di grana e ci sovviene il parmesan citato tra le pietanze della mensa dei Priori di Firenze e tra le pagine del Decameron di Boccaccio, e quando accostiamo champagne a varietà francesi sorridiamo sotto i baffi, ricordando Charles de Gaulle che si chiedeva come si potesse governare un paese che aveva 246 varietà di formaggi differenti!
Non potete immaginare, poi, quanto sia bello, durante le degustazioni, scorgere palpebre che si abbassano, inebriate di forti piaceri al palato, dita che si leccano spontanee, spinte da puerile e istintiva disinvoltura, e quanto sia divertente, in chiusura, sollevare piatti vuoti, domandandosi come Brecht dove mai andrà a finire il buco, una volta finito il formaggio.